PER ULISSE – NOTE SULL’ESPERIENZA DEL FILM/ NOTES SUR L’EXPERIENCE DU FILM

(IT) Penso che se ho fatto il film era per riconoscere qualcosa di me in ognuno dei miei personaggi, per passare del tempo insieme, senza fare domande sulle loro vicissitudini. Ho l’impressione che sia proprio lì, il senso di fare un lfim come questo – nel fatto di creare dei legami con le persone
Mi rendo conto che il film non racconta niente dei loro percorsi. Non descrive la loro vita quotidiana. Racconto solo quello che mi trasmettono.
Non descrivo perchè non parto dalle domande : perchè si confrontano troppo alle domande, degli assistenti sociali, dei medici, dei giudici, della polizia. E volevo evitare il giudizio, il discorso giustificatorio.
Questo è un film sul fatto di essere in vita. Di sopravvivere. Malgrado tutto. Essere qui, insieme, in questa sopravvivenza. Soli e insieme. Il vissuto del lm, della sua elaborazione, dall’intuizione di partenza la prima volta che li incontrai.
All’inizio Stefano Sarri, fondatore e animatore del Centro Ponterosso, mi aveva invitato per realizzare delle interviste ironiche sul tema « chi sta peggio di me » ? nell’ambito di un Festival del disagio. Altre domande sulla stessa falsariga : se tu sei il personaggio di un film, di quale lm si tratta ? Oppure : se tu avessi un potere magico, quale sarebbe ?
Ero colpito dalle persone che incontravo. Dal loro sguardo, dalla loro forza. Ho deciso di tornare e ho inziato a frequentare il centro, con l’idea di fare un film. Ho proposto Ulisse.
Il film ha davvero iniziato quando Silvia mi ha fatto leggere un racconto suo, su Ulisse perso a San Salvi, l’ex-ospedale psichiatrico di Firenze. Le ho proposto di fare un sopralluogo. Non pensavo necessariamente filmarla, ma la siuazione è stata un innesco, ha cominciato a raccontare, a raccontarsi. Ho fatto un primo montaggio di 15 minuti di questo sopralluogo, gliel’ho mostrato, l’ho mostrato agli altri. Lei lo ha mostrato al suo medico, che l’ha incoraggiata.
Prendevo appunti, sulle situazioni viste, sui racconti che mi facevano. Li transcrivevo e li facevo leggere, come dei testi da interpretare, delle prove per il lm. Proponevo delle prove, delle situazioni narrative – un presentatore di un reality-show Ulisse, con sirene, polifemi, maghe circe…presenta lo show ma non c’è nessuno, il programma non va in onda – e attraverso questa situazione da teatro dell’assurdo veniva fuori tutta una verità umana (questa scena non è nel lm nito, la cito come esempio e magari come rimpianto – forse un annuncio per un prossimo lm…)
Contribuivo alla vita del centro. Filmavo feste, spettacoli (ho anche fatto il moi primo film di matrimonio). Tutto questo lavoro di prove, di scrittura, preparava il terreno per il film, a mettere in condizione. A cercare che il mio sia uno sguardo che partecipa alla vita delle persone, non uno sguardo su di loro.
Facevo dei montaggi di queste prove e li mostravo. Se ne discuteva. In questo periodo lavoravo su In Purgatorio e li ho invitati all’anteprima del film al festival dei popoli, nel novembre 2009. Tutto questo per coinvolgerli nel tipo di cinema che facevo.
Poi, innanzitutto, ci sono le persone, i legami che prendono vita col tempo.
Di Silvia ho già parlato, è stata un motore del film, una confidente speciale.
Poi Fortunato, che nominavo Omero – a causa della sua sensitività per le persone, per quello che provano, che vivono, e lui poteva raccontare le storie degli Ulisse.
Kiara – che inizalmente poteva essere una maga Circe, una dea dell’amore, con una postura da diva del melodramma muto – un giorno mi ha proposto di girare una scena di dichiarazione d’amore, dovevo solo trovarle la controparte.
Steve : stava suonando la chitarra quando lo vido la prima volta, un blues quasi sciamanico con una tecnica da autodidatta inventata in carcere. Era trasportato, quasi in transe. Per me era ulisse, lo sconosciuto appena naufragato.
Dovrei citarli tutti : Stefano sempre presente e sempre segreto, Pietro e i suoi poemi di strada, Paolo che tentava di ricostrituire un suo poema che aveva perso nel corso dei suoi trascorsi psichiatrici (e ho iniziato le riprese sue con questo tentativo di rielaborazione, prima che parli della televisioe buttata dalla nestra), Luca, Salvo, Ignazio, Marco, Gianni, Naseed, Domenico, Alessandro, Danilo, Rocco, Michele…
Poi c’è la scrittura del film, come ne immaginavo la struttura. In questa scrittura montavo dei frammenti dell’odissea con le cose sentite. Le situazioni immaginate, le prove – di questo lavoro preparatorio ci sono tracce nel film, hanno permesso la parola, il fatto di essere qui, in questo luogo del Ponterosso, di vivere una stagione in questo porto di mare. E in n dei conti quello che potevo intuire nella scrittura del film ha preso vita e forma nel lm, anche aldilà delle aspettative.
A febbraio 2011 ho iniziato la fase più importante delle riprese, fino a settembre. La cronaca di una stagione, della vita, intorno al film che si stava facendo. Quello che è successo nella vita in questo periodo (a Daniela, a Fortunato, a Salvo, a Ignazio, agli altri) non è necessariamente descritto nel film, ma lo attraversa. Ha condizionato il mioo sguardo, ha condizionato la parola.
Nel film c’è la presenza di tutti coloro che ho conosciuto e che non sono nel film – li ho persi di vista, non sono tornati in quel periodo. Alcuni sono scomparsi.
Ci sono molti di questi assenti nelle voci che si leggono nei neri che tessono la narrazione del film – voci che monto con il testo dell’Odissea. Questi cartoni neri sono un momento di silenzio che creano un altro spazio e una intimità, perchè si ascoltano dal dentro. Creano una polifonia, perchè aprono ad altre voci possibili, ad altre storie, un fuoricampo del film, perchè la storia di Ulisse è senza fine.

(FR) Je pense que si j’ai fait le film c’est pour reconnaitre quelque chose de moi en chacune des personnes du film. Pour le temps passé à être ensemble, sans besoin de poser de questions, sur leurs vicissitudes. J’ai l’impression que c’est justement là, le sens de faire un film – dans le fait de nouer des liens avec les personnes.

Je me rends compte que dans le film je ne raconte rien de leurs parcours. Je ne décris pas leur vie quotidienne. Je ne raconte que ce qu’ils me racontent.

Je ne raconte rien car je ne parle pas par des questions: ils se confrontent trop aux questions, des assistants, des médecins, des juges, de la police. Et je voulais éviter le jugement, le discours justificatoire.

C’est un film sur le fait d’être en vie. De survivre. Malgré tout. Etre là, ensemble, dans cette survie. Seuls et ensemble. C’est le vécu du film, de son élaboration, de l’intuition de départ lors de la première rencontre.

Au début Stefano Sarri, fondateur et animateur du centre, m’avait invité pour réaliser des entretiens ironiques sur le thème “Qui va pire que moi?” dans le cadre d’un Festival du Mal-Etre. Sur cette même lignée je posais des questions comme: Si tu étais le personnage d’un film, ce serait quel film? Ou bien: si tu avais un pouvoir magique, ce serait lequel?

J’étais touché par les personnes que je rencontrais. Par leur regard, leur force. J’ai décidé de revenir et j’ai commencé à fréquenter le centre, avec l’idée de faire un film. J’ai proposé Ulysse.

Le film a vraiment démarré quand Silvia m’a fait lire un récit qu’elle avait écrit, sur Ulysse perdu à San Salvi, l’ancien hôpital psychiatrique de Florence.
Je lui ai proposé de faire un repérage filmé des lieux. Je ne pensais pas nécessairement la filmer, mais la situation a été un déclencheur, elle a commencé à raconter le récit, et puis à se raconter.
J’ai fait un premier montage (15 minutes) de ce tournage-repérage, que je lui ai montré, que j’ai montré aux autres. Elle l’a montré à son psychiatre, qui l’a encouragée.

Je prenais des notes, sur les situations, les récits qu’on me faisait. Je les transcrivais et les faisais lire, comme des textes à réciter, des essais pour le film.
Je proposais des essais pour le film, des essais de situations – un présentateur d’un reality-show Ulysse, avec sirènes, Polyphèmes, Circées… il présente le show, mais il n’y a personne, l’émission n’est pas transmise – et à travers cette situation un peu théâtre de l’absurde il y avait toute une vérité humaine qui en ressortait (elle n’est pas dans le film, au final – je l’annonce ici pour un prochain film…)

Je contribuais à la vie du lieu. Je filmais des fêtes, des spectacles qui se déroulent au Ponterosso (j’ai même réalisé mon premier film de mariage). Tout ce travail de répétitions, d’écriture, en quelque sorte servait à préparer le terrain pour le film, à mettre en condition. A faire en sorte que le mien soit un regard qui participe de la vie des personnes, pas un regard sur elles.

Au fur et à mesure je montrais des montages de ces essais. On en discutait. Pendant cette période je travaillais sur In Purgatorio, je les ai invité à l’avant première au festival dei Popoli en novembre 2009. Tout cela pour partager ma manière de faire du cinéma.

Puis, avant tout, il y a les personnes, les liens qui se nouent avec, dans le temps.

De Silvia j’ai parlé, elle a été un moteur du film, une confidente spéciale.
Il y a Fortunato, que pendant un temps je nommais Homère – à cause de sa sensitivité pour les personnes, pour ce qu’elles ressentent, ce qu’elles vivent, et il pouvait raconter les histoires des Ulysses.

Il y a Kiara – qui initialement pouvait être Circée, une déesse de l’amour, elle a une posture de diva du mélo muet – un jour elle m’a proposé de jouer une scène de déclaration d’amour, il fallait que je lui trouve quelqu’un pour la jouer avec elle.

Il y a Steve: il était en train de jouer la guitare quand je l’ai vu la première fois, un blues presque chamanique, avec une technique de guitare étonnante qu’il s’était inventée en prison. J’étais frappé par sa manière d’être transporté ailleurs, comme une transe. Pour moi c’était Ulysse, l’inconnu à peine rescapé.

Je devrais les citer tous : Stefano, toujours présent et toujours secret, Pietro et ses poèmes de la rue, Paolo qui essayait de reconstruire mentalement un poème qu’il avait écrit et qu’il avait perdu au cours de ses déboires psychiatriques (et j’ai commencé à tourner avec lui sur cette tentative de remémoration, avant qu’il ne parle de la télévision jetée par la fenêtre). Luca, Salvo, Ignazio, Marco, Gianni, Naseed, Domenico, Alessandro, Danilo, Rocco, Michele…

Puis il y a l’écriture du film, comment j’en imaginais la structure. Dans cette écriture il y a aussi Ulysse, des fragments de texte de l’Odyssée. J’avais écrit des situations, imaginé et répété avec mes personnages des scènes – un travail préparatoire dont il y a des traces dans le film et qui a permis la parole, le fait d’ètre là, dans ce lieu du Ponterosso, de vivre une saison dans ce lieu. Et en fin de comptes ce que je pressentais de maniére intuitive à travers l’écriture, la structure natrrative, a pu avoir lieu, au-delà des intentions.

En février 2011 j’ai commencé la période plus importante du tournage, qui a duré jusqu’en septembre. La chronique d’une saison, ce qui s’y est passé, dans la vie, autour du film en train de se faire.
Ce qui s’est passé dans la vie en cette période (à Daniela, a Fortunao, à Salvo, à Ignazio, aux autres) n’est pas nécessairement décrit dans le film, mais le traverse, a conditionné mon regard, la parole.

Dans le film il y a la présence de tous ceux que j’ai connus et qui ne sont pas dans le film, car je les avait perdus de vue ou ils ne sont pas revenus pendant que je tournais.

Beaucoup de ces absents sont dans les voix qu’on peut lire dans les noirs qui tissent la narration du film – voix que je mêle au texte de l’Odyssée. Ces noirs sont un moment de silence qui crée un autre espace et une intimité, car on les écoute de dedans. Ils créent comme une polyphonie, car ils ouvrent à d’autres voix possibles, à d’autres histoires, un hors champs du film, car l’histoire d’Ulysse est sans fin.