Mattina del 18 settembre 2024.
Sezione femminile del carcere di Capanne (Perugia)
Sette donne. È la prima volta che le incontro. Non so nulla di loro.
Una telecamera. Le propongo di filmarsi l’un l’altra. Poco importa cosa raccontano, possono stare in silenzio, cantare.
Giulia prende la telecamera. Un’altra inizia a raccontare la sua storia. Poi un’altra, poi un’altra ancora. Le amiche ascoltano, intervengono. Ad un certo punto Giulia lascia la telecamera e passa davanti, a raccontare la sua, di storia.
Un incontro che diventa come un canto corale.
Questo lavoro è il frutto di un laboratorio durato poco più di due ore. Sapendo che sarebbe stato un incontro fugace, avevo pensato a un gioco semplice dove potessero imparare a stare davanti allo sguardo della telecamera, in confidenza, senza chiedere confessioni, senza giudizio – avevo detto che potevano raccontare un sogno, cantare una canzone, stare in silenzio – e dunque le avevo proposto di filmarsi reciprocamente. Poi c’erano delle riprese di loro, in silenzio, come dei piani d’ascolto. C’era infine una telecamera che riprendeva il “backstage” dell’incontro. Un dispositivo molto basilare.
Quando ho visto il materiale, ho sentito che dovevo lasciare le registrazioni nell’ordine in cui si erano svolte, perché una storia nasceva dall’altra. Le storie di rispondevano come in un coro.
Ho solo deciso di isolarle l’una dall’altra, di dare un respiro ad ognuna, un silenzio, come se ognuna si immergesse nella propria storia e nell’ascolto della storia delle altre. Come in un arcipelago di vissuti, ognuna è come se fosse altrove, fuori da questa sala, nella sua intimità. In questo silenzio ho messo i ritratti, e i nomi. Come a dire che ora tocca a te. Come a dare ad ognuno spazio di ascolto.
Non ci sono storie strazianti, estreme. Sono storie semplici, sono donne che si sono ritrovate in carcere, per delitti che non fanno nemmeno cronaca. Tutto molto semplice. Proprio per questa semplicità ci tenevo a mostrare questo lavoro. In queste due ore passate con loro c’era per me un mondo, ogni storia è un mondo, sconfinato.
Se il carcere è lo specchio della società che lo produce, dobbiamo prendere atto che è un luogo di vita sospesa, di non vita, e che allora è la società che produce il carcere che sprofonda in questa morte in vita. Bisogna raccontare storie, mille e una storie, per combattere la morte, diceva Elias Canetti.
Silvia Palamidessi
Assunta Di Silvestro
Mihai Flutturica
Giulia Mencucci
Rachela Travisano
Ioulia Blioumina
Rosa Lestingi
RIPRESE
Giulia Mencucci
Maurizio Giacobbe
Giovanni Cioni
MONTAGGIO
Giovanni Cioni
MUSICA
Mottettu de Tristura, da Folk Songs.
Cathy Berberian, Luciano Berio
FINALIZZAZIONE SUONO
Saverio Damiani
un laboratorio realizzato nell’ambito del PerSo Perugia Social Film Festival – Giuria delle Detenute, anno 2024
Associazione RealMente
Fondazione La Città del Sole
DURATA 32 minuti