DAL PIANETA DEGLI UMANI (From the Planet of the Humans)

(IT) Un sopralluogo nel silenzio della frontiera di Ventimiglia, tra Italia e Francia, diventa una fiaba fantastica, narrata da un coro di rane, in cui uno scienziato sperimenta una cura di ringiovanimento con testicoli di scimmie. Il dottor Voronoff è esistito, negli anni 1920 la sua fama fu planetaria. Poi l’oblio. La sua villa sta sopra la frontiera – una frontiera del silenzio, come se i migranti non dovessero esistere in questa riviera fiabesca dell’eterna primavera.

(FR) Un repérage dans le silence de la frontière de Ventimiglia, entre Italie et France, devient una fable fantastique, racontée par un choeur de grenouilles, où un savant espérimente une cure de rajeunissement avec des testicules de singe. Le docteur Voronoff a existé, dans les années 1920 sa renommée fut planétare. Puis l’oubli. Sa villa est au dessus de la frontière – une frontière du silence, comme si les migrants ne devaient pas exister dans cette riviera féérique de l’éternel printemps.

WORLD PREMIERE LOCARNO 74, august 2021
PLAY-DOC, Tui, ANNECY CINEMA ITALIEN september 2021, VIENNALE october 2021,
62 FESTIVAL DEI POPOLI november 2021, Premio miglior lungometraggio Competizione Internazionale e Premio Tenk alla distribuzione
NOVA CINEMA Brussels december 2921
TRIESTE INTERNATIONAL FILM FESTIVAL ALPE ADRIA Premio Corso Salani, january 2022

 

https://www.facebook.com/DalPianetadegliUmani
 

Silvio Grasselli su Alias il Manifesto “Due anni dopo Non è sogno, Giovanni Cioni torna a Locarno con un nuovo stupefacente film. Dal pianeta degli umani, nel quale esplora, trasfigurandola, la frontiera italo-francese tra Ventimiglia e Mentone, è una favola sui generis, un racconto fantastico, un film di fantascienza che narra di migranti, di scienziati, di corpi di animali e di spettri di uomini, di vita e di morte. Un documentario d’invenzione, un film d’archivio lucidamente anacronistico, un saggio lirico e politico sul ruolo del cinema oggi…”

 

” (…) À l’épicentre de cet authentique essai, se trouve les questions de la vie, laquelle ne peut contempler la mort et de la mort qu’il faut affronter pour vivre. Giovanni Cioni interroge les images des époques passées et présente les artefacts qu’elles produisent et leurs cortèges de fables mortifères. L’Autre existe-t-il par les milliards d’images prises par lui et de lui-même ? Comment prendre pied dans le temps réel et chercher à saisir combien il est intriqué dans des histoires qui n’ont rien à voir entre elles et qui, néanmoins, ont tout à voir entre elles ? Par fragments stupéfiants, improbables, incomplets forcément, articulés les uns aux autres de façon volontaire à la manière d’un poème épique, tant l’histoire des hommes est bondissante, et en métaphores salutairement provocatrices, le récit tisse son réseau de sens” Jean Perret sur Filmexplorer
 
“I film di Cioni assomigliano sempre più a un deposito, sembrano coperti da un velo di polvere, come caverne che nascondono passaggi segreti e tesori nascosti. Senti che la riflessione e la teoria si inabissano in strati più profondi, in una dimensione da cui scaturiscono la poesia e la visione e tutti i simboli della trasformazione. E il concetto stesso di documentario perde la sua definizione, la sicurezza del dato oggettivo, per diventare un racconto avventuroso o, forse, una pratica esoterica, come il cinema tutto. Un viaggio di esplorazione oltre le colonne d’Ercole, tra le onde del mare, tra la vita e la morte. Ma quale vita, quale morte? Quante volte si muore e si rinasce in una vita? Le due cose non sono poi così diverse nel pendolo che oscilla tra la notte e il giorno.” Aldo Spiniello su Sentieri Selvaggi
 
Jorge Pereira Rosa su C7nema, (Portugal) “Na última edição do Festival de Locarno, talvez não existisse material mais poético, político e social que o mais recente documentário de Giovanni Cioni, “From the Planet of Humans” (Dal pianeta degli umani), um ensaio que fala do passado e presente, vida e morte, algures entre a fábula realista e a ficção científica, sempre adornado de um discurso filosófico”

 

“…The images of DAL PIANETA DEGLI UMANI are shot in the first person, as if we were not only watching what the traveler sees but also gaining access to his thoughts. This closeness with an absolute otherness creates a strange distance, the one we need in order to access history as this strange force. Vico said it best: human beings are historical creatures because they shape history. (Lucía Salas)”… https://www.viennale.at/en/film/dal-pianeta-degli-umani

 

“One of Locarno’s hidden gems was definitely to be found in the challenging Fuori concorso (Out of Competition) section. Giovanni Cioni’s Dal pianeta degli umani (From the Planet of the Humans) is a mesmerising film-essay in which historical data and biology, real facts and the power of the imagination all converge in a single, grandiose reflection on human destiny and the meaning of our existence (…)Cioni imagines Dal pianeta degli umani as a dystopian fairy tale told from a fictional planet – our own – yet everything is very real in his film.” Maria Giovanna Vagenas su Senses of Cinema

 

“Quelli che hanno visto il tuo film avranno visto con i propri occhi una fiaba accaduta, un presentimento di quello che il cinema puo offrirci che prende forma sotto i nostri occhi. Non ci lasci mai tranquilli, tessi una rete di pensieri che diventa evidenza, che diventa un film che già esisteva ma che non abbiamo mai voluto guardare.
Mi è venuto da toccarmi, mi è venuto da cercare delle magre rassicurazioni sul fatto che c’ero nei nostri tempi ma il tuo film mi dice senza equivoci che è vano, come nei sogni, quanto tocchi per assicurarti che non sei in un sogno ma poi ti svegli e eri in un sogno.
Stare al mondo è un altra cosa, e il primo movimento è vedere il mondo, un mondo in cui stare per poter viverci, avere la possibilità di saziarsene e di saziare il mondo di noi. Aver visto, aver capito piano piano nel tuo film, mi da un opportunità di cambiare.
Un pensiero installato con così tanta precisione (ho pensato quanto sei stato chiaro pure usando incredibili compagne di viaggio e emozioni e scoperte che sembri metabolizzare durante il film )
Importa che tu condividi con noi ogni tanto il tuo stare al mondo, che non è una fiaba, che è dei nostri tempi e che ci richiama all’ordine che stiamo dissolvendo. “ un messaggio di A.H.
Luciano Barisone su Filmidee : “(…)Tutte queste immagini, di allora o di adesso, sono accompagnate dalla parola fluente e visionaria di Cioni, che, come un «passeur», un osservatore filosofo che trasmette il suo pensiero senza imporlo come un dogma, si delega il compito di aprire delle porte: porte della percezione fisica, ma anche porte dell’immaginario e della trascendenza, porte del corpo e dell’anima. Porte di una consapevolezza politica e umana spesso assenti nel mondo di oggi. L’insistenza sull’alternanza della didascalia «c’era una volta a quei tempi» non può che rimandare all’oggi (…)
“Un grand film politique, de ceux qui nous ouvrent les yeux jusqu’à l’écarquillement.
“Formé d’images qui se répondent comme les thèmes d’une œuvre musicale, le film ne cesse de surprendre et de solliciter l’intelligence du spectateur sur un mode éminemment ludique, offrant à celui-ci de s’extraire de sa somnolence, de réveiller son sens critique saturé d’images essorées, …” François Ekchajzer sur Télérama
“Per alchimia cinematografica, Cioni coglie i segni e le storie disparate: le tracce del passaggio dei migranti, le gabbie delle scimmie abbandonate, le cisterne col canto regolare delle rane. Le ricombina con suggestioni del cinema muto; quasi il suo documentario fosse, semmai, un racconto fantastico. Ne fa una sinfonia imperdibile sulla vita e sulla morte, sull’apparire e sul dissolversi, con tante traiettorie di senso a incrociarsi, rimanendo stimolo aperto. E realtà incredibile. “Una bella intervista a cura di  Antonio Maiorino su Taxi Drivers.it
“È difficile dire se quelli di Cioni siano documentari o film di finzione: non penso solo a Dal pianeta degli umani, ma anche a Non è sogno, realizzato con i detenuti del carcere di Capanne, o anche Del ritorno, incentrato su un sopravvissuto di Mauthausen, infestato dalla memoria degli orrori vissuti. «Non mi interesso della distinzione tra documentario e finzione,» rivela Cioni, «mi interessa solo usare il linguaggio del cinema. È vero che nei circuiti di produzione il documentario ha più libertà – non sempre, ma il più delle volte è così: hai meno mezzi, ma hai una struttura di produzione più elastica, che asseconda il fatto che film non abbia una struttura già predeterminata sin dall’inizio. Ma il documentario per me non è un’indagine sulla realtà, piuttosto un modo di capire che cos’è la realtà. Se faccio dei film è perché mi permettono di mettere in scena la mia esperienza del mondo e il mio rapporto con l’altro. E molto spesso i film nascono da ciò a cui non si riesce a dare a una risposta, da degli incontri, magari anche solo da una frase. Considera Del ritorno, appunto: feci un film su una persona che mi disse “io sono qui con te ma non sono qui con te, sono sempre laggiù”. Di cristalli e frontiere. una conversazione a cura di Giulia Oglialoro per Q Code Magazine
“Come Shahrazād, Cioni ci narra una storia narrata dalle rane, la realtà è filtrata dai loro occhi enormi e sporgenti, il loro sguardo è lo sguardo del regista sul mondo, unica possibile verità del film. Dal Pianeta degli umani in questo senso sembra seguire lo stesso tracciato de Gli Intrepidi, ove tutto si perde (o tutto nasce) dalle acque del mare. Quell’immensità del mare che Cioni dipinge nelle sue inquadrature, catturandone le infinte sfumature cromatiche, i movimenti lenti o convulsi” Brunella de Cola per CineLapsus.com

 

 

 

NOTE DI REGIA. Volevo solo andare sui luoghi della frontiera. Vedere, essere sui luoghi. Un sopralluogo. Siamo sempre sui luoghi dopo che qualcosa sia successo. E sembra che non sia successo nulla. O siamo nei luoghi durante, ma tutto si svolge in silenzio. Non sta succedendo nulla.

Ogni giorno, ogni notte, i migranti tentano il passaggio. Vengono fermati, respinti, rinchusi, picchiati, cacciati – ritentano. Ma non esistono. Siamo sulla splendida riviera della vacanza permanente. Siamo nel silenzio della frontiera, come se non stesse succedendo niente, come se quello che succede non abbia più realtà, nel presente in tempo reale – ma succeda in un altro tempo e un altro spazio. A quei tempi – così iniziano le fiabe.

In quei tempi, su questa stessa riviera fiabesca, viveva uno scienziato che esplorava la causa profonda della morte, per capire se la vita aveva previsto la morte. La sua cura di ringiovanmento con trapianti di testicoli di scimmia sull’uomo lo rese famoso sul pianeta intero.

Poi l’oblio. Quando mi hanno raccontato di Serge Voronoff, mi hannno mostrato la villa sulla frontiera, le gabbie in rovina dove allevava le scimmie, ho pensato al personaggio di un film fantastico dell’epoca. Un Dottor Moreau, o lo scienziato dell’Invenzione di Morel, il romanzo di Adolfo Bioy Cassares, che ha inventato degli spettri dell’eternità.

Mi sono detto che se devo raccontare il slenzio di questa frontiera, lo racconto come, in un film fantastico, di un’altra epoca, una fiaba del presente.

La storia di Voronoff s’intreccia con la storia dell’epoca. Ebreo russo, ha conosciuto i pogrom. Arriva a Parigi all’epoca della campagna antisemita dell’affaire Dreyfuss. Diventa famoso e ricco, frequenta celebrità dell’epoca, amministratori coloniali francesi, gerarchi fascisti. La sua fama non lo mette al riparo dalle Leggi razziali del 1938, dalla fuga, dalla deportazione.

Il silenzio della frontiera, l’oblio, la negazione del presente, la morte, la vita. Essere in vita, quale vita?

Poi ci sono le rane che cantano. Le rane che sono invisibili e sono ovunque. Animali di passaggio tra la vita e la morte, l’acqua e la terra. Le rame cantano nelle loro cisterne, canti polifonici che raccontano la fiaba del mondo. C’erano, a quei tempi, e ci sono sempre. Testimoni beffardi della storia. Avevo registrato i loro canti, nelle cisterne d’acqua sospese sulla riviera, e sono loro che mi hanno permesso di raccontare questa storia. Sono sempre lì, in vita, come se la morte non le riguardasse, come se l’avessero superata.

 

Volevo costruire il film come un sopralluogo sulla scena di un qualche film fantastico, come se questa frontiera sul mare, questi sentieri sulla montagna, fossero un’isola abbandonata dai suoi abitanti. Ci sono tracce da decifrare, qualcosa è successo. In questa scena ci sono delle cisterne d’acqua, come delle presenze metafisiche, ed è dalle cisterne che le rane raccontano la storia.

I sopralluoghi sono delle soggettive, io che cerco tracce dell’enigma, tracce di quello che rimane della storia, di quello che posso immaginare. Cerco di immaginare, di andare oltre il silenzio – riuscire a guardare come da un altro tempo, guardare il presente come in un film di anticipazione.

Il film diventa una polifonia di tempi e di spazi che emergono dal sopralluogo. Un lavoro su immagini di archivio, film, attualità dell’epoca, fotografie, che fanno emergere il presente come se fosse visto da un’altra epoca. Dunque lavorare visualmente sulla stratificazione delle immagini, sulla loro materia stessa, sulla sgranatura dei film di vacanza in super8 che diventa la sgranatura delle immagini del presente, la sovrapposizione, la saturazione – l’immagine diventa una materia viva del tempo. Nella sua materia parla della memoria e dell’oblio, cerca di dare vita agli spettri.

Come in un film fantastico è un film di spettri. Lo spettro di Serge Voronoff, della sua epoca, gli spettri dei vacanzieri dei film di vacanze, gli spettri del presente, villeggianti e migranti. Un film di spettri perché è anche un film sull’altro che non si vede, sull’altro che non esiste, un’immagine che guardi ma non vedi.

Un film di spettri e una polifonia di voci, di tempi, di spazi (il mare, il silenzio della frontiera…), una polifonia con un coro di rane e una voce narrante. La voce narrante non è il testo su cui si è costruito il film, sono degli appunti scritti durante il montaggio del film, come degli appunti di viaggio, in un dialogo immaginario con le rane. Questi appunti sono diventati quasi come un canto

 

Scritto, diretto e narrato da Giovanni Cioni (82min, 2021)
Prodotto da Enrica Capra e Isabelle Truc  Immagine Giovanni Cioni Montaggio Philippe Boucq Musica originale Juan Carlos Tolosa Design sonoro Saverio Damiani Mix Emmanuel De Boissieu Color Laurent Fénart Conformazione Philippe Boucq Assistente alla regia e fotografa Annalisa Gonnella Consulenza storica Enzo Barnabà Ricerche d’archivio Ilaria Sbarigia, Emanuela Tomassetti

Produzione Graffiti Doc (Italia) Iota Productions (Belgio) Tag Film (Francia) con RAI Cinema in coproduzione con ARTE G.E.I.E. La Lucarne, la RTBF con il supporto di  DG Cinema – Ministero dei Beni e delle Attività Culturali CNC – Centre National du Cinéma et de l’Image Animée, Centre du Cinéma et de l’Audiovisuel de la Fédération Wallonie-Bruxelles, Film Commission Torino Piemonte – Piemonte Doc Film Fund Progetto realizzato nell’ambito del programma  Sensi Contemporanei Toscana per il Cinema. Tax Shelter du Gouvernement Fédéral de Belgique ING Direct Progetto selezionato a Pitching du Réel  Festival Visions du Réel, Nyon 2018 CannesDoc Italian Showcase Docs-in-Progress 2021